Ogni sei secondi i motori dei veicoli in strada lasciano una scia sonora che è sempre uguale, regolare. Il rumore è lontano, poi più vicino, infine passa sotto la finestra. In quell'istante la mia testa percepisce di non essere a casa, nel letto di casa. I rumori sono troppo regolari ed ovattati rispetto a quelli di casa, c'è meno chiasso. Ricordo, sono in albergo, anzi no. Sono in una stanza di una pensioncina in zona San Pietro. La sensazione di non trovarsi a casa è strana. I motori me lo fanno percepire. Inizio a ricordare. La pensione si chiama da Tiziana. Tiziana è una signora anziana scorbutica che ieri mi ha accolto sulle scale. Dal basso sembrava più alta, una volta su, mi è sembrato di trovarmi al cospetto di Valeria Valeri, ma meno simpatica di lei, mi arrivava allo sterno. Mi ha accompagnato in fondo al corridoio di quello che sembrava un appartamento. Mi ha indicato il bagno, mi ha detto che all'indomani mi avrebbe svegliato alle sei. Il pullman sarebbe passato alle sei e trenta. La camera è molto spartana. Mi sembra la camera di un figlio andato via qualche anno prima, le lenzuola sono pulite, bianche, inamidate, come piacciono a me, mi sono sempre piaciute quelle degli ospedali. Alle diciannove scendo, ho fame. Il portone si apre su di un viale alberato. Mi dirigo sulla sinistra, c'è un cartello che indica piazza San Pietro. In fondo giro sulla sinistra, inizia un altro viale lunghissimo che non dà tregua alla vista. A metà viale c'è una rosticceria, entro. Prendo un po' di roba fritta ed una bottiglia di acqua e mi dirigo verso piazza San Pietro, voglio vederla. Prima di arrivare alla piazza, sulla destra c'è l'ingresso per il Vaticano con tanto di guardie svizzere a sbarrare il passaggio. Arriva dal lato opposto una coppia abbracciata. Ma man che si avvicinano riconosco nell'uomo una fisionomia familiare. Com'è possibile? Infatti è un ragazzo della mia città, anche lui mi riconosce. Ci avviciniamo, ci salutiamo, addirittura ci abbracciamo nonostante a casa nostra non ci siamo quasi mai salutati. Mi dice che lavora lì da un anno, si trova bene, mi presenta una sua amica, noi altri ancora diciamo fidanzata per colei che abbracciamo per strada. Mi fa gli auguri per il mio concorso. Infatti lo avevo dimenticato. Sono a Roma perché ho partecipato ad un concorso come allievo maresciallo dei carabinieri. L'ho fatto giusto per. In quel periodo stavo preparando l'esame di diritto internazionale all'università, testo di Conforti, bianco e Granata, regolamenti, direttive, ho fatto una delle mie pause e mi sono fatto coinvolgere nel concorso. Qualche mese prima avevo superato i test, novantaquattro su cento, la barriera a ottanta. Ora mi aspetta la prova scritta, superarla è il viatico per la divisa, così mi hanno detto.
Proseguo e arrivo in piazza San Pietro. È buia, stanno montando l'albero per il Natale che è prossimo, l'albero è da solo lì, come me, è spoglio, siamo soli io e lui. Nessuno più, non ci sono nemmeno i barboni. Mi siedo sulle scale vicino al porticato, afferro una focaccia dalla busta e le do un morso, ma subito ritraggo la bocca, è ancora bollente. Intanto, guardo la finestra dove il pontefice si affaccia per l'Angelus la domenica. Forse mi serve un miracolo, ma non mi interessa più di tanto. Chissà il Papa dove sarà in quelle stanze buie! Comunque è possibile mai che alle otto di sera di un martedì di novembre nella piazza più conosciuta al mondo non ci sia nessuno? È possibile, o no! Sento un rumore alle spalle, la mia pelle diventa d'oca. Una puzza di alcool arriva insieme a qualcuno. Si siede accanto a me. Istintivamente mi faccio più in là. Avrà una cinquantina d'anni, capelli brizzolati, occhi azzurri, sarà stato un bel uomo, è di Alatri, lavorava in una azienda che qualche anno prima lo ha licenziato, la moglie lo ha lasciato, è andata a vivere con i figli con un nuovo compagno, si chiama Giancarlo, la mattina è fuori ad un supermercato in zona, il pomeriggio al parcheggio di un McDonald's. È a Roma da due anni. Tira fuori da uno zaino enorme due Chicken Menù, mi offre un panino. Dico di no, dico che ho già mangiato, lui insiste, sembra offendersi, io ho l'impressione che lui abbia capito che mi fa schifo mangiare qualcosa di suo. Accetto. Il primo boccone ancora lo butto giù a fatica, poi man mano va meglio. Tira fuori del vino, gli dico subito che non bevo e non si offende perché capisce che è vero. Chiacchieriamo tanto. Guardo l'orologio, sono quasi le dieci di sera, la signora della pensione mi aveva raccomandato di rientrare per le dieci. Faccio per andarmene, lui si offre di accompagnarmi. Non mi da la possibilità del rifiuto. Lascia le sue cose lì e andiamo. Io per Roma cammino con un clochard. Facciamo prima, lui conosce delle scorciatoie. Arrivati al portone devo salutarlo, caccio dalla tasca diecimila lire (avevo con me centomila lire e dovevo pagare pensione e viaggio), gliele porgo, lui rifiuta tassativamente e mi ringrazia. Io chiedo il perché. Lui mi dice "sono due anni che non parlavo due ore con qualcuno e che non camminavo con qualcuno". Io sono giovane, non so che dire, ma lì inizio a capire tante cose della umanità, mi lascio abbracciare, nonostante la puzza. Mi dispiace, lo guardo andar via, indossa dei Levi's 501 consunti e unti, ultimi testimoni di una vita sparita come un sacchetto in un inceneritore. Io sono il testimone. Sopraggiunge la tristezza, purtroppo. Mi sento solo come non mai, ripenso a quello che sto facendo. Mi chiudo in camera e mi addormento subito, dopo aver rassicurato mia mamma da una cabina telefonica posta all'ingresso.
Il giorno dopo è quello da dove inizia questa storia, quella del sole tra le tapparelle e dei rumori diversi.
Scendo alle sei e venticinque, prendo un pullman. Scendo alla stessa fermata di qualche mese prima, unitamente a tanti altri giovani speranzosi o disperati o ispirati, con un altro viale da percorrere, i giovani devono percorrerne sempre e sarà sempre peggio, saranno sempre più lunghi e pieni di insidie. Qualche chilometro a piedi. Siamo tanti ma molto meno dell'altra volta. Sono l'unico della mia città. Hotel Ergife. Traccia sull'etica e sui valori in cui credono i giovani di oggi. Ci danno quattro ore. Non ho problemi. In tanti anni di scuola non ho mai avuto una insufficienza ad un compito di italiano, anzi spesso era quasi sempre non meno di sette e prenderlo con Fiorella Martucci valeva molto di più. Dopo un'ora e mezzo consegno, quattro facciate a metà, in verticale. Sono contento, finalmente torno a casa. Dopo un mese arrivano i risultati, una raccomandata. La apro..la sua prova non è risultata idonea al….. non finisco di leggere, la strappo e la butto via, sono a via Duomo. Probabilmente non so scrivere abbastanza per fare la vita militare. Era il millenovecentonovantacinque. Dopo sedici anni passo in quella piazza alle undici di una mattina di una domenica soleggiata, sto affrontando la maratona di Roma, guardo la finestra, subito dopo butto l'occhio a dove ero seduto anni prima in compagnia di Giancarlo e scorgo, nonostante il movimento, un uomo, più curvato, ma mi sembra lui o mi piace crederlo. Corro via anche se mi giro indietro più volte. Chissà il fato o l'umanità cosa avrà riservato per Giancarlo!!
Alessandro De Maio