Da un’amicizia profonda e da salde condivisioni ideali e culturali è emersa un’opera poderosa. Protagonisti don Francesco Perrotta – venerando studioso e già arciprete di S. Andrea Apostolo in Arienzo – e Paolo Pozzuoli – già ispettore dell’Inail, prima a Salerno poi a Caserta e Benevento, e tuttora impegnato giornalista. L’opera consiste in un libro di ben 350 pagine, intitolato “S. Ecc. Paolo Pozzuoli” e pubblicato, in quest’anno 2021 che volge al termine, dal Centro Studi Valle di Suessola. Continui, lungo l’itinerario complessivo, gli interscambi e le espansioni fra i due co-autori, ferma restando un’intenzione di fondo così manifestata: “della carità, profusa dal grande figlio della Terra di Vitulazio, nel corso della sua vita, possiamo arricchirci tutti”.
La certosina ricerca che ha preceduto la stampa del volume ha dato vita a nove capitoli che – facendo perno sulla figura esemplare del vescovo Paolo Pozzuoli nato il 16 giugno 1740 a Vitulazio e morto l’8 marzo 1799 ad Arienzo – spaziano come indagini ad ampio spettro soprattutto sul passato remoto di Vitulazio e Bellona (uniti, nel periodo fascista, in un solo Comune col nome di Villa Volturno) e riportano una miriade di fonti civili, religiose e militari, a partire dal Catasto Onciario di Vitulazio del 1737, includendo documenti e ricordi recenti. Essenziale ma eloquente il repertorio iconografico; poche ma puntuali le note a pie’ di pagina.
Naturalmente, la centralità di Paolo Pozzuoli (vescovo di S. Agata de’ Goti dal 1792 al 1799), pur concentrata nell’ottavo capitolo, trasuda nell’intero volume, ora come positivo modello di riferimento ora a mo’ di riaffermazione costante e generalizzata dell’importanza di antiche e valorose radici. D’altronde la sua biografia rivela i tratti di un presule, formatosi nel Seminario Arcivescovile di Capua, strenuamente impegnato a riportare ordine e rinnovato spirito religioso per “circa 17 lunghi anni di contese, confusione e ricorsi al Trono” nella diocesi che lo vide successore di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori dopo un periodo purtroppo segnato da uno spaventoso vuoto di guida pastorale. Oltretutto era il tempo in cui si susseguivano controversie e vertenze tra la Santa Sede e la Corte di Napoli: in quel difficile contesto, il vescovo Pozzuoli fu tenace nei suoi tentativi di dirimerle e, su perduranti problemi causati da ambizioni e discutibili comportamenti del clero e dei fedeli, non esitò più volte a scrivere direttamente al Re di Napoli. Mons. Pozzuoli: «Dotato di una dolcezza di carattere senza uguali, coniugava eminenti virtù alla straordinaria umiltà d’animo. La sua morale, la sua rettitudine, il suo zelo sono stati veramente commendevoli: caritativo co’ poveri, che visitava infermi, paziente maestro degl’ignoranti, che istruiva, e la cristiana legge gl’insegnava e di persona accompagnava il Viatico agli infermi”. Di vasta e profonda cultura (in una sua relazione “ad Sacra Limina” del settembre 1794 è rimasto scritto: sembra che la Storia ci assicuri esser questa Città l’antica Saticola, mentuata più volte da Livio”), ebbe a cuore l’educazione della gioventù e, in modo particolare, quella dei seminaristi che facevano tesoro delle lezioni di alto valore teologico e morale impartite da noti Maestri; indi, “invitava dalle vicine sedi i Sacri Pastori per far mostra del valore letterario dei suoi giovani alunni, tanto che il dotto Prelato di Telese Mons. Lupoli nonché l’arcivescovo di Lanciano Mons. Amorosi in una pubblica accademia data dal Pozzuoli ne rimasero così sorpresi ed ammirati che non esitarono a definire il Seminario di Sant’Agata de’ Goti: il Liceo dei dotti e la sede di Minerva”. Sempre attento e vigile, nulla gli sfuggiva: moderava il “ricore de’ castighi”, correggeva e migliorava i regolamenti. Ricostruì l’atrio della sua Cattedrale che adornò di statue ed arricchì di suppellettili. Altra grana risolta da Monsignor Paolo Pozzuoli è relativa al possesso del Feudo di Bagnoli di cui i Vescovi Sant’Alfonso Maria de’ Liguori e Paolo Pozzuoli avevano il titolo di “Barone del Casale di Bagnoli”».
Ecco, in breve la successione degli accadimenti: «Il possesso del Feudo di Bagnoli era legato alla mensa arcivescovile. Tuttavia, a partire dall’anno 1631, cominciò a sollevare notevoli contrasti tra i ministri e i feudatari santagatesi e la Santa Sede. Nessuna risposta fu data alla proposta di cedere Bagnoli alla S. Casa dell’Annunziata di Napoli dietro corresponsione di un annuo canone (S.C.C.V., Rel. 1625). Se nei registri della R. Camera Bagnoli appariva in un primo tempo come appartenente alla mensa vescovile, in seguito appariva di proprietà del duca di Sant’Agata che pagava anche la relativa tassa d’adoa. Le preoccupazioni causate ai vescovi dal possesso di Bagnoli - con l’andar del tempo il fondamento giuridico del loro dominio era andato oscurandosi - durarono quasi fino all’abolizione dei feudi (2 agosto 1806). Nel frattempo, dopo la morte del duca Carlo Caracciolo nessuno aveva rivendicato la proprietà di Bagnoli, ed il feudo era passato alla Camera. Evidentemente i vescovi erano all’oscuro di questa situazione, e toccò a Paolo Pozzuoli (1792-1799) chiarirla definitivamente. Egli dovette sborsare 500 ducati, dato che una legge del 1774 aboliva i feudi franchi, cioè immuni, anche se di appartenenza ecclesiastica».
Al di là del dichiarato e dimostrato amore per la terra natìa e per i suoi uomini illustri, fra i pregi del volume v’è, come accennato, una straordinaria miniera documentaria che oltretutto lo rendono opera di consultazione, nonché interessante stimolo per ulteriori e specifici approfondimenti. Esemplificando, basti pensare al variegato panorama cui concorrono le ricostruzioni etimologiche e storiche, le descrizioni di agglomerati, i fatti tragici, su Vitulazio e Bellona, che Paolo Pozzuoli condensa nel primo capitolo; ai dati statistici sugli abitanti (compresi gli ecclesiastici, le vedove e le vergini “in capillis”, cioè le donne non maritate), nella prima metà del Settecento, con schemi riguardanti le famiglie, le consistenze immobiliari, i patrimoni zootecnici, le chiese e gli altri luoghi di culto esposti nei capitoli secondo e terzo; agli stati reddituali delle famiglie e alle corrispondenti tasse imposte leggibili nel quarto.
Nondimeno, è il quinto capitolo, dedicato ai mestieri praticati in entrambi i Comuni, a proporsi come una meravigliosa sintesi di realtà, poesia e nostalgia: attività, tramandate di padre in figlio e adesso quasi tutte scomparse, risorgono nelle loro peculiarità e interdipendenze nel corso di una splendida narrazione. Su alcune figure (cernitori, custodi di negri, mannesi, molinari, scafaiuoli, soldati di campagna, vaticali…), che appaiono oggi indecifrabili, il lettore è portato a soffermarsi per scoprirne abilità e mansioni.
Ad introdurre il denso capitolo sesto – “Fonti, tradizioni, toponimi, personaggi e altro ancòra - Tracce quotidiane del nostro passato” – torna don Ciccio Perrotta, “mostro di cultura”, come amabilmente lo definisce l’ispettor Pozzuoli che, a sua volta, dopo una breve rassegna delle tradizioni e dei miracoli avvenuti per intercessione di Maria SS. dell’Agnena, racconta, in toni appassionati, talenti ed imprese di vari personaggi, per lo più conosciuti direttamente o addirittura amici personali, giungendo fin quasi ai giorni nostri.
Mentre il settimo capitolo è pienamente concentrato sulla parrocchia di S. Maria dell’Agnena, con l’ottavo, esclusivamente riservato come s’è predetto a “Paulus Pozzuolius Episcopus”, la trattazione si focalizza su vicende a forte rilevanza storica di oltre due secoli fa, con particolare riguardo per alcuni aspetti assai controversi in ordine alle cause, ai fatti e alle conseguenze della Rivoluzione Napoletana del 1799: un testo di Domenico Guida – “I Francesi alla conquista del Regno di Napoli” – ed un contributo di don Francesco Perrotta – “I Francesi nella Valle di Suessola (1799)” – narrano epicamente i tremendi sconvolgimenti e le tragedie che si consumarono nell’Italia meridionale e sul territorio in cui monsignor Paolo Pozzuoli esercitava il suo mandato episcopale. Nonostante tutto, il presule, in quei frangenti, si preoccupò, con l’aiuto dell’arciprete don Giacinto Morgillo, di chiedere ed “ottenere dalla S. Sede il ‘corpo quasi integro’ del martire S. Clemente”, patrono di Arienzo, che fu accolto nella chiesa collegiata di S. Andrea Apostolo.
Di notevole valore storico l’appendice documentaria corrispondente al nono ed ultimo capitolo che comprende: la Relazione ad limina Apostolorum, 1792-1795, del vescovo Pozzuoli; la descrizione ristretta del 1792; il documento “S. Mariae Casae Marii de Anglena”; il testo di Andrea Tabassi “Capua e Circondario – Risposte alla IV sezione delle dimande statistiche pel Circondario di Capua”; la genealogia in linea ascendentale dei signori Pozzuoli di Vitulazio dal 1656, l’anno che venne dopo la peste, con il primo antenato di cui si ha notizia certa.
Questa raccolta di documenti conferma in effetti il felice connubio fra due realtà territoriali della nostra provincia che la fertile amicizia fra don Ciccio Perrotta e Paolo Pozzuoli ha saputo riscoprire nel nome del vescovo nato a Vitulazio.
In definitiva, va detto che i co-autori non hanno affrontato una fatica facile e, malgrado un filo cronologico frastagliato o una grafica non sempre agevole per i lettori, hanno realizzato un’opera veramente preziosa in cui si rinvengono almeno tre fondamentali punti di forza: la valorizzazione a tutto campo della memoria storica, l’impegno a far luce e a prendere posizione su una serie di situazioni e fatti controversi, l’utile pubblicazione di alcuni manoscritti e documenti inediti. Tutto ciò con ammirevole sentimento e spiccato senso d’identità.