Si avvicina per Luigi Di Monaco il momento dell’ennesima delusione. Non sarà il candidato sindaco per il centro sinistra anche se questa notizia sembra non costituire nessuna novità per il veterinario di S. Angelo in Formis campione di preferenze nel 2018. Il primo a non credere in lui è proprio il suo partito, il PD, visto che anche l’ultima volta l’ambito seggio sindacale non gli fu offerto e proposto a Luca Branco.
Per “anzianità di servizio” e per numero di preferenze personali la candidatura a primo cittadino sarebbe toccata a Di Monaco già nel 2018 ma Branco riuscì a polarizzare su di sè le scelte. Adesso sembra che la storia stia per ripetersi e l’ex assessore ai lavori pubblici dell’ultima infelice esperienza governativa targata Branco, non solo rischierebbe di essere preferito a qualche altro senza una storia politica alle spalle fatta di candidature e vittorie nel centro sinistra, come ce l’ha lui ma addirittura da, Paolo Romano, autentico big politico e per un lungo periodo tra i leader regionali del centro destra. Quest’ultimo ha un curriculum e un’esperienza di tutto rispetto ma al momento, come detto, Romano lo si ricorda in tutt’altra area politica, vantando lo stesso, nel mosaico del suo importante percorso politico/amministrativo, un tassello da consigliere comunale di Forza Italia nell’Amministrazione che fu di Aldo Mariano, quando risultò essere campione di preferenze, arrivando a rivestire il ruolo di Presidente del Consiglio Comunale e poi nel 2000, con la prima candidatura nell’assemblea regionale campana, sempre in FI, così come nel 2005 e poi nel 2010 con il PDL.
Di Monaco, stimato professionista e persona perbene, è stato uno storico avversario politico di Romano ed immaginarlo a fare la ragazza pon pon e gridare “vota Romano” è veramente difficile. Ma ad onor del vero, le voci di un avvicinamento al centro sinistra di Romano appaiono più fantaindiscrezioni circolanti e prive di contenuto, perché uno del calibro di Romano con un pedigree politico di centro destra veramente stonerebbe a vederlo con Adolfo Villani, ex DS ed attuale PD, icona per i nostalgici di sinistra a Capua di un’area opposta al centro destra; inimmaginabile, poi, Romano supportato dalla sinistra più radicale. Diventerebbe difficile accettare per Di Monaco la scelta che si orienterebbe ad individuare il candidato premier locale su Romano, considerato che l’attuale segretario del PD è stato sempre obbediente alle decisioni del partito. Il suo partito dovrebbe essere memore del fatto che nel 2011 Di Monaco non volle valutare la possibilità di scendere in campo con Carmine Antropoli, suo storico avversario politico, quando al veterinario santangiolese furono spalancate le porte del regno infinito del centro destra. Di Monaco, allora, non avrebbe avuto difficoltà a trovare posizionamento in una lista civica che supportava il sindaco uscente, in un momento in cui era iniziata la fuga dei candidati dal centro sinistra, per correre tutti tra le braccia del chirurgo santangiolese. Ma Di Monaco non volle cedere alle avance politiche ed allora per giustificare siffatta decisione si fece appello alla dignità e all’appartenenza politica, ritenendo irricevibile la proposta di candidarsi con il centro destra e rimanendo fedele al PD. Le sue oltre trecento preferenze, che ne fecero uno dei più votati nel 2011, non furono sufficienti per portarlo nel parlamentino capuano ma per la cronaca, Di Monaco con quei voti sarebbe stato eletto in ognuna delle 10 liste che supportava Antropoli.
L’altra storia di appartenenza e dignità politica che è bella da ricordare è offerta da Gaetano Ferraro, per gli amici Nino. Qui il racconto è un po’ più lungo.
Nel 2005 la giunta dell’allora sindaco Alessandro Pasca fu mandata a casa; qualche eminenza grigia o più di una, dalla camera di regia decise che fosse giunto il tempo di porre fine a quell’esperienza. Sempre la regia di quella sceneggiatura politica decise, circa un anno prima, che l’assessore all’urbanistica Nino Ferraro, in quota UDC, dovesse andare a casa, probabilmente perché non più in linea con il progetto amministrativo con chi in quell’amministrazione faceva o avrebbe voluto fare la parte del padrone.
Per dignità ed appartenenza politica e per amicizia nei confronti di Ferraro, il consigliere comunale Umberto Botta, in quota UDC, offeso dalla defenestrazione ingiustificata dell’assessore, passò all’opposizione. In fondo, Ferraro non ha mai dimenticato quell’allontanamento forzato dalla giunta municipale, privo, molto probabilmente, di ragioni politiche.
Nel 2010, governo Antropoli, per la cronaca, Forza Italia era divisa tra antropoliani e quanti erano più vicini all’ala di Paolo Romano; proprio la frangia non atropoliana tentò, per proprie valutazioni, unitamente all’opposizione di centro sinistra capitanata da Branco, la defenestrazione di Antropoli, immaginando tra i firmatari della sfiducia al primo cittadino anche Ferraro. Quest’ultimo, che in quella consiliatura rivestiva il ruolo di conigliere comunale di minoranza, regalò un boccone molto amaro agli aspiranti dimissionari.
Lo scaltro e lesto Antropoli aveva già aperto un fronte con Ferraro (che ricordava bene il trattamento ricevuto nel 2004), spalancandogli le porte in maggioranza, con tanto di assessore, il giovane e valido Fabio Buglione, lasciando in questo modo i dimissionari in pectore, tra questi anche Branco, in uno stato di profonda delusione. Gli storici raccontano di una fantastica passeggiata a cui si abbandonarono Ferraro e Buglione tra le campagne circostanti Capua mentre Branco e company aspettavano all’ufficio protocollo per depositare le dimissioni. In questo caso, si disse che era una questione di “memoria politica”, come a dire che i ricordi delle azioni sono ben impresse sulla pellicola della memoria.