Il Karate è un’arte marziale a mani nude sviluppatasi nel corso dei secoli nell’isola di Okinawa ed originata dalla fusione tra metodi di combattimento nati nell’isola e tecniche di combattimento originarie della Cina.
Ho iniziato a praticare il karate-do senza alcuna motivazione logica: avevo solo 11 anni quando assistetti a una gara presso il palazzetto dello Sport di Maddaloni, disputata allora dal mio attuale sensei (Maestro). Incuriosita dall’insolito abbigliamento e dalle suggestive movenze degli atleti, mi avventurai in questa disciplina sportiva. Con il tempo ho capito che il mio interesse di allora rispondeva ad una mia indole, consolidata ora da questo antico sport. Il karateka, infatti, deve mettersi sempre in discussione, anche nel momento di maggior successo e soddisfazione personale, nella pratica di questa arte e filosofia.
A parer mio un ottimo karateka deve essere in grado di sperimentare, approfondire, domandare, riflettere: in altre parole, essere un curioso.
Nel karate esistono tre diversi stili che vengono chiamati anche “le tre K” e che corrispondono a Kihon-waza, (focalizzazione sulle abilità di base) Kata (esecuzione a solo di tecniche di combattimento in specifiche sequenze coreografate) e Kumite (sparring regolamentato, usando solo tecniche ad impatto percussivo con mani e piedi).
Se penso alle tante esperienze significative di questi anni, mi viene in mente una delle mie ultime gare.L’11 dicembre dello scorso anno, presso San Cipriano d’Aversa, si è tenuta una gara alla quale hanno partecipato diverse rappresentanze delle palestre in cui ci si allena. Per me partecipare a questa gara ha avuto un effetto a dir poco strano anche perché da due anni non gareggiavo a causa del covid. Mi è sembrato tutto nuovo, come se lo stessi facendo per la prima volta! È proprio vero che il Covid ha cambiato emozioni, abitudini, comportamenti e prassi consolidate. Un tempo le gare erano anche occasioni per condividere la propria passione con i familiari ma ora, i genitori non possono assistere alla gara dei propri figli che entrano accompagnati dal proprio Maestro ed escono con lui, unico spettatore della fatica, dell’impegno e della determinazione dei giovani atleti .
Una volta arrivata lì, ero piena di adrenalina. Più passavano le ore e più morivo d’ansia; ma quando era il mio turno mi hanno comunicato che non avrei potuto gareggiare poiché non c’era un’altra atleta della mia categoria di peso e nemmeno di cintura. Poi, all’improvviso, mi hanno chiamato sul tatami (area di gara) per combattere. Sono stata felice ma, nello stesso tempo un po' spaventata quando ho visto delle ragazze alte e robuste e ho pensato proprio di non farcela. Invece, dopo diversi incontri faticosi sono riuscita ad ottenere la così attesa medaglia d’oro. Tutto d’un tratto mi chiamarono anche su un altro tatami e vidi queste ragazze che erano tre volte: iniziai a gareggiare e dopo diversi incontri arrivai in finale. Ero stanca ma volevo vincere: quando sono caduta male dopo una proiezione fatta dalla mia avversaria ho avvertito un gran dolore l’anca; sono stata medicata con del ghiaccio spay e l’arbitro mi chiese: “signorina che fa vuole abbandonare la gara o vuole continuare, mancano 27 secondi”. Certo, non potevo arrendermi e, nonostante fossi dolorante, ho deciso di continuare, conquistando così un meritato secondo posto che per me vale come una medaglia d’oro visto che ho avuto la forza e la tenacia di continuare.
Spero che questo mio lungo racconto possa far capire ai genitori e ai bambini il valore dello sport nella formazione della persona. Spero anche che il Covid ci dia tregua e che si possa tornare presto alla normalità per poter cogliere le opportunità che il territorio offre.
(Immagini di repertorio)
Micaela Cecio
ITET “FEDERICO II”
III Ai